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In principio,
il latte di bufala veniva trasformato nello stesso locale in
cui veniva munto. Solo a partire dal 600,
si passò a lavorare nelle bufalare, caratteristiche costruzioni in muratura,
dalla forma circolare con un cammino centrale, intorno al quale,
sotto l'occhio esperto di un Mastro casaro, il latte diventava
formaggio, caciocavallo, burro, ricotta, e soprattutto provola.
Dalla sua professionalità, dipendeva la qualità
della mozzarella: nella fase più delicata della lavorazione,
infatti, la sua abilità, rappresentava l'unico punto di
riferimento.
Il consumo
dei latticini bufalini risale al XII secolo, come ricorda Campanile Castaldo. Già
d'allora, infatti, i monaci del Monastero di San Lorenzo in Capua,
usavano offrire una mozza o provatura con un pezzo di pane, ai
componenti del Capitolo che si recavano presso di loro, ogni
anno, in processione. Inizialmente, però, sembra, che
venissero prodotte più che altro ricotte e provole, queste
ultime pure affumicate, perché si conservassero di più
e potessero essere trasportate anche lontane.
La mozzarella,
invece, per la sua deperibilità veniva ridotta con scarsa
quantità e consumata localmente: ...in definitiva la mozzarella si configura
in origine come un sottoprodotto della preparazione della provatura/provola,
circondata da una scarsa considerazione per la difficoltà
di conservazione e di commercializzazione date le peculiari caratteristiche
di freschezza, e perciò destinata ad un circuito ristretto
magari di raffinati degustatori.
Potrebbe forse essere questa, una delle ragioni, come sottolinea
Guadano, dell'assenza di questo latticino, e non delle provole,
dagli antiche presepi napoletani, in cui invece gli elementi
gastronomico- alimentari sono messi in grande rilievo e rispecchiano
la tradizione alimentare del popolo napoletano.
Sull'etimologia
della parola mozzarella, non sembrano esserci dubbi: essa è il
diminutivo di mozza, da mozzare, tant'è vero che nei documenti
più antichi molto spesso viene definita direttamente mozza,
se non provatura.
Comunque
anche il termine mozzarella è antico: lo troviamo, infatti,
per la prima volta nel 1570 in un libro di cucina di un certo
Scappi, uno dei cuochi della corte papale.
Se inizialmente il consumo di mozzarella era limitato alla zona
di produzione, dalla seconda metà del 700 essa comincia
ad essere sempre più presente sui mercati di Napoli, forse
per la benefica influenza dell'impianto della Tenuta Reali di
Carditello, in provincia di Caserta. Questa, infatti, all'avanguardia
nel settore dell'allevamento, dette un contributo non indifferente
all'incremento della produzione, commercializzazione e consumo
di questo latticino.
La diffusione
della mozzarella, comunque, va di pari passo con l'accrescimento
delle vie di comunicazione: "...con il miglioramento della rete stradale,
con l'espandersi delle ferrovie, i prodotti bufalini cominciano
a varcare i confini della Campania per raggiungere altre zone
di smercio.".
Per questo,
già con l'unificazione d'Italia, si venne a creare fra
Napoli e Caserta, ad Aversa, la famosa "Taverna", che altro non
era se non una specie di mercato all'ingrosso delle mozzarelle
e delle ricotte di bufala che stabiliva quotidianamente le quotazioni
in rapporto alla produzione e alla richiesta.
Per mantenere
più possibile la freschezza e la fragranza del prodotto,
fino a qualche decennio fa, si usava conservare le mozzarelle
non in acqua di governo, ma in fogli di giunco e di mortella, disposte in cassette
di vimini e di castagno. Oggi che questa tradizione si è
persa, ne resta tuttavia il ricordo, vista l'abitudine che c'è
in Terra di Lavoro, di richiedere la mozzarella usando l'espressione
mazzo di mozzarelle, come se esse fossero ancora chiuse in fasce
di giunco.
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