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Vita e morte: 

Acque belle: una realtà di stupore e di gioia
Acque riflettenti: un sogno di limpidezza
Acque scure: un percorso di tristezza e di morte
Acque infide: una fuga senza fine

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Di acqua parla la letteratura di tutti i tempi. Se proviamo ad esaminare i testi in chiave psicanalitica, riconosciamo facilmente i simboli dell’acqua come sorgente di vita o come abisso senza fondo, come morte, ma possiamo cogliere anche qualche dettaglio in più. Le acque di Omero, nel canto VI dell’Odissea, sono in particolare, per esempio, le acque della gioia fresca, dello stupore ingenuo; mentre le acque di Shakespeare, nell’atto IV dell’Amleto, sono quelle della morte giovane e bella, senza orgoglio né vendetta.

Acque belle: una realtà di stupore e di gioia

Nausica al fiume

 

Giunte alla bella correntìa del fiume

ov’erano perpetüe fontane

e onde sempre scorrean molte bell’acque

buone a mondare tutte le lordure,

esse dal carro sciolsero le mule,

spingendole sui margini del fiume

a pascer l’erbe dolci come il miele.

Poi su le braccia presero dal carro

le vesti e le gettarono nell’acqua,

indi sul fondo rapide coi piedi

le premevano a gara. E poi che alfine

ebber tolto e deterso ogni lordura,

distesero in bell’ordine le vesti

su l’orlo, dove lo sciacquìo del mare

avea polito i ciottoli del lido.

Quando tutte si furono lavate

ed unte di lucente olio d’olivo,

presero il cibo ai margini del fiume

lasciando i panni a rasciugarsi al sole;

e, come sazie furono di cibo,

si diedero, spogliatesi dei veli,

a giocare alla palla, e a tutte il ritmo

dava Nausica dalle bianche braccia.

Omero

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Acque riflettenti: un sogno di limpidezza

"Da tutti i lati – tranne a ovest, dove calava il sole – si ergevano le mura verdeggianti della foresta. Il fiumicello che svoltava in un’ansa brusca, così da perdersi subito alla vista, pareva non avere sbocco dalla sua prigione, ma rimanere assorbito dal fitto fogliame verde degli alberi a oriente – mentre dalla parte opposta (così mi parve mentre sdraiato pigramente guardavo in alto) si riversava continua nella valle, senza rumore, una sontuosa cascata rossa e oro dalle fontane del cielo vespertino.

A metà circa del breve panorama che i miei occhi sognanti accoglievano, un’isoletta circolare, traboccante di verzura, riposava sul seno dell’acqua viva.

Ivi si fondevano così sponda ed ombra

Che ciascuna sembrava pendere nell’aria –

Così puro era lo specchio dell’acqua, che non si poteva dire a quale punto del pendio di erba smeraldina cominciasse il suo dominio di cristallo".

   Edgar Allan Poe

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Acque scure: un percorso di tristezza e di morte

"Un colore cupo, ma bello e intriso di pace, pervadeva qui ogni cosa. Gli alberi erano di colore oscuro, e mesti di forma e atteggiamento, intrecciandosi in figure tristi, solenni e spettrali che davano un’idea di dolore fatale e morte immatura. L’erba aveva la tinta cupa del cipresso, e le cime dei suoi steli pendevano molli, e qua e là vi spuntavano molti goffi monticelli, bassi, stretti e non molto lunghi, che avevan l’aria di tombe pur senza esserlo; e però tutt’intorno e sopra a loro infoltivano la ruta e il rosmarino. L’ombra degli alberi cadeva greve sull’acqua, e pareva seppellirvisi impregnando di tenebra le sue viscere. Io fantasticavo che ciascuna ombra, col graduale calar del sole, si staccasse torva dal tronco nativo, facendosi così assorbire dalla corrente; mentre altre ombre scaturivano subito dagli alberi prendendo il posto delle precedenti così sepolte".

Edgar Allan Poe

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Acque infide: una fuga senza fine

La Regina

C’è un salice che si protende attraverso il ruscello e specchia le sue foglie grigie nella vitrea corrente: là sopra se ne venne adorna di capricciose ghirlande di ranuncoli, d’ortiche, di margherite e d’orchidee, cui i nostri pastori sboccati danno un nome più volgare, ma che le nostre fredde giovani chiamano dita di morto, e mentre ella si arrampica lì sopra per agganciare ai penduli ramoscelli le sue coroncine d’erba, un maligno ramo si schiantò e i suoi erbosi trofei ed ella medesima caddero nel piangente ruscello. Le sue vesti si sparsero larghe e, come fosse una sirena, la sostennero alquanto. Ed ella veniva cantando frammenti di vecchie arie, come colei che fosse inconsapevole della propria sventura, o come una creatura che avesse avuto origine in quell’elemento e che quasi vi si sentisse adatta e disposta dalla natura. Ma a lungo non potè durare, ché in breve le sue vesti, fatte pesanti dall’acqua di cui erano imbevute, trassero la meschina dal suo canto melodioso a una fangosa morte.

Laerte

Povera Ofelia, hai teco anche troppa acqua: e io perciò mi proibisco le lacrime...

William Shakespeare

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1998-99   I.T.C.S. "Jacopo Barozzi" MO    gruppo interclasse M.C.A.   prof.ssa Laura Bortolani

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