L'ETA' AUGUSTEA

Le religioni misteriche

 

Accanto alle religioni ufficiali, riconosciute e controllate dallo Stato, il mondo antico conobbe la nascita e la diffusione delle religioni misteriche, che presentavano caratteri peculiari e autonomi. Le divinità fatte oggetto di questi culti occupavano spesso una posizione marginale - almeno inizialmente - nei culti dominanti, come avvenne per Demetra e Dioniso poco citati dai poemi omerici (VIlI sec.), i quali pure ci forniscono la descrizione più ampia del pantheon greco; erano divinità agrarie, del grano (Demetra) e della vite (Dioniso), la cui azione benefica era connessa all'avvicendamento delle stagioni e quindi al ciclo di morte e rinascita.

In questi culti si faceva strada una concezione nuova della religione: essa non si configurava più come un rapporto contrattuale e utilitario fra la comunità statale e gli dèi protettori, nel quale la cerimonia e l'offerta sacra erano funzionali all'interesse dello Stato e quindi della classe dominante, nelle religioni misteriche l'individuo entrava in un rapporto diretto con la divinità e in un'aspettativa soteriologica: egli cioè si aspettava la "salvezza" (soterìa) dopo la morte a prescindere dalla sua posizione nella società; di qui l'obbligo di un rito di iniziazione (mystes è in gr. l' "iniziato"), senza del quale non si era accolti tra i "fedeli" del dio.

Gli adepti appartenevano a tutte le classi sociali, ma per lo più alle classi subalterne, e vi erano ammessi donne e schiavi, cioè coloro che la religione ufficiale teneva ai margini del culto; sicché gli affiliati si configuravano come una comunità "altra", nella quale cadevano o si attenuavano le gerarchie sociali; i riti si svolgevano per lo più di notte, a sottolineare il carattere separato e alternativo rispetto alla religione ufficiale; essi avevano aspetti "orgiastici" (il gr. orgia equivale a "culto misterico"), contraddistinti da invasamento (il dio "prendeva possesso" dell'adepto), da ebbrezza e da pratiche sessuali, che peraltro vengono decisamente esagerati dalle fonti, generalmente ostili (come Livio).

I misteri orfici rievocavano il mito di Orfeo che scese negli Inferi per liberare la moglie Euridice e ne risorse.

I misteri eleusini - celebrati a Eleusi in Attica - s'imperniavano sul mito di Demetra che vuol liberare la figlia Core rapita negli Inferi.

Sul ciclo morte-resurrezione erano basati anche i misteri di Iside e Osiride, che, nati fra gli Egizi, erano da molti ritenuti la vera matrice dei culti orfici e dionisiaci (Diodoro Siculo, I, 22-23), nonché i misteri di Attis e Cibele (la "Grande Madre"), di origine frigia, e di Adone e Astarte, provenienti dalla Siria; tutti questi si diffusero gradualmente nel mondo greco-latino.

I culti orfici ed eleusini erano connessi ai misteri dionisiaci: Dioniso, di origine tracia, era una divinità non olimpica, ma terrestre e itinerante; chiamato con molti nomi, fra cui Zagreo, Iacco, Bacco, fu con quest'ultimo nome conosciuto dai Romani. Ebbe fra i primi fedeli le donne (le baccanti); la forte opposizione dell'antico potere statale contro il culto bacchico ha lasciato traccia nei miti di Licurgo (menzionato da Omero) e di Penteo (che è materia delle Baccanti di Euripide): due sovrani ostili a Dioniso e duramente puniti dal dio.

Nei diversi contesti storici le religioni misteriche furono aspramente combattute, ma attraversarono anche fasi di compromesso con i culti pubblici, di intersezione con questi e di istituzionalizzazione: ciò avvenne soprattutto in Grecia per i culti di Demetra e di Dioniso, "finché il dio che Omero non si era degnato di prendere in considerazione divenne la figura più popolare del pantheon ellenico" (J. G. Frazer). E al culto di Dioniso è attribuita la nascita della tragedia, forma d'arte peculiare dello spirito greco.

Le religioni misteriche si propagarono in tutto il bacino del Mediterraneo, portate da mercanti, soldati, schiavi e "indovini" come quel Greco sconosciuto cui Livio attribuisce l'introduzione dei culti perversi in Italia. In realtà i baccanali (cosi i Romani chiamavano i misteri dionisiaci) erano praticati in Magna Grecia, donde giunsero a Roma verso la fine del III secolo a.C. In quest'epoca la conoscenza dei baccanali è attestata dalla tragedia Lucurgos del campano Cn. Nevio, che narrava la tragica vicenda del re oppositore di Dioniso (di essa abbiamo il titolo e pochi frammenti). Anche l'Etruria fu area di diffusione del rito bacchico. A Roma esisteva da molto tempo il culto della "triade plebea", Cerere, Libero e Libera (identificati con Demetra, Dioniso e Core), il cui tempio, nel quartiere popolare dell'Aventino, faceva da contraltare a quello della "triade capitolina" (Giove, Giunone, Minerva), emblema del patriziato.

Ma la lunga lotta fra patrizi e plebei aveva trovato forme di compromesso sociale e istituzionale: i culti di origine plebea erano ammessi e ufficializzati dallo Stato. Su di essi poté tuttavia innestarsi la pratica misterica dei baccanali. Fu soprattutto durante la Il guerra punica, quando l'invasione di Annibale provocò distruzioni, sofferenze e disperazione, che lo scrupolo e l'ansia religiosa pervasero il popolo e la classe dirigente: si accolsero nuovi riti, e accanto ai culti "olimpici" (introduzione dei Ludi Apollinares nel 212 a.C.) furono accettati anche i misteri della Magna Mater Cibele (204 a.C.).

I Romani non avevano una religione dogmatica nè una casta sacerdotale: i sacerdoti si identificavano con il ceto politico e la religione con la regola sacrificale (disciplina sacrificandi). L'atteggiamento delle autorità verso i culti stranieri e non tradizionali non era pregiudizialmente ostile: l'eclettismo romano si dimostrò, fino a un certo punto, capace di accogliere i nuovi déi e, vigilando sul culto e sfrondandolo dagli aspetti più inconciliabili, di integrarli con le pratiche religiose tradizionali. L'ostilità sorgeva quando i riti tendevano a sottrarsi al controllo dello Stato e a combinarsi con fattori di disgregazione del tessuto politico-sociale. Nel caso dei baccanali, la repressione del 186 a.C. fu dovuta, probabilmente, da un lato al fatto che il culto rischiava ormai di erodere settori delle classi dirigenti, dall'altro alla polemica in atto tra i "filoellenici" del circolo degli Scipioni e i tradizionalisti di Catone il Censore; questi ultimi videro nei baccanali un bersaglio adatto per sferrare contemporaneamente un colpo alle tendenze tolleranti verso le influenze greche. Il senatoconsulto del 186, che vietava di norma i baccanali e ne concedeva la celebrazione solo con ferree restrizioni, non ottenne però un effetto permanente.

Nel II e nel I sec. a.C. le religioni misteriche ripresero o meglio non cessarono mai di penetrare in Italia. Ancora nel 139 il praetor peregrinus emise un decreto di espulsione da Roma di astrologhi ed Ebrei. In tutte le grandi rivolte di schiavi (del 136 e del 104 a.C. in Sicilia, del 133 a Pergamo, del 73 in Italia con Spartaco) si ritrova la presenza delle "religioni di salvezza", del profetismo, dei misteri che davano sfogo all'ansia messianica di liberazione. In seguito alla crisi sociale e morale insorta nell'età delle guerre civili, alle "religioni di salvezza" si rivolsero buona parte del popolo e non pochi esponenti dell'aristocrazia, mentre altri nobili coltivavano quella sorta di "predicazione di salvezza" per le élites che erano le filosofie epicurea e stoica . Più o meno quando, a Ercolano, Filodemo di Gadara divulgava il verbo di Epicuro, a Pompei fiorivano i misteri di Iside e tornava in auge l'iniziazione al culto di Dioniso (rappresentata nella grandiosa pittura murale della Villa dei Misteri). La commistione di filosofia e misticismo religioso favorì la divulgazione del neopitagorismo negli ambienti aristocratici, tra i quali nacque la setta di Nigidio Figulo. Ebbero successo le profezie escatologiche e messianiche di origine orientale, delle quali si nutriva anche l'ebraismo, la cui presenza in quest'epoca è ben documentata anche a Roma.

Da parte sua Augusto intraprese, con qualche successo, una campagna di restaurazione della religione romana tradizionale che Tito Livio approva con convinzione (W, 20,7). Nel 33 a.C Agrippa, in qualità di edile, espulse dall'Urbe gli astrologhi e i maghi; nel 12 a.C. Augusto, divenuto pontefice massimo, fece requisire e bruciare più di duemila libri di profezie in latino e in greco.