L'ETA' AUGUSTEA

Il Carmen Saeculare

 

Augusto nel 17 a.C. indice i ludi Saeculares, nel momento più adatto, scelto con grande abilità, per celebrare i ludi, testimonianza di un'epoca di guerre e di lotte civili che si chiude e di un'era di pace che si apre. Mentre all'interno ha avviato l'opera di restaurazione morale e civile, ai confini dell'impero ha risolto il pericolo della minacciosa popolazione dei Cantabri per opera di M. Agrippa, il grande generale, divenuto da poco suo genero; infine mediante trattative diplomatiche con i Parti ha ottenuto la restituzione delle insegne tolte a Crasso nell'infausta battaglia di Carre. Celebra, perciò, la sua Pax e il suo incontrastato Imperium.

Sullo svolgimento dei ludi ci informano Zosimo, uno storico vissuto ai tempi di Teodosio e, direttamente, i frammenti del Commentarium Ludorum Saeculariorum, un'epigrafe, ora conservata nel Museo delle Terme a Roma, che fu rinvenuta il 20 settembre del 1890, durante i lavori di scavo presso l'attuale ponte Vittorio Emanuele a Roma, nel luogo, appunto, dove era il Campo Marzio, e che conteneva la cronaca o processo verbale dei giochi.

Dopo una purificazione generale delle case della città, fatta con tede, zolfo e bitume distribuiti dai Quindecemviri, i giuochi ebbero inizio il 31 maggio e durarono tre notti e tre giorni. E' bene notare che essi ebbero carattere più propiziatorio che espiatorio e che alle divinità sotterranee furono associate le divinità celesti Giove, Giunone, Apollo e Diana.

Nella prima notte Augusto offrì, nel Campo Marzio, alle Parche un sacrificio di nove agnelle e nove capre nere, innalzando una preghiera propiziatoria. Poi si svolsero ludi scenici e un sellisternium (ossia un banchetto in onore di dee, le cui statue erano collocate su sedie) di centodieci matrone in onore di Giunone. Ludi e sellisternia furono eseguiti ancora nelle notti e nei giorni seguenti, tranne l'ultimo. Il 1° giugno Augusto e Agrippa sacrificarono ciascuno un bove bianco a Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio; la notte successiva, nel Campo Marzio, Augusto offrì alle Ilithyae nove popana, nove liba, nove pthoes (focacce di varia forma e composizione). Il 2 giugno Augusto e Agrippa sul Campidoglio sacrificarono ciascuno una vacca bianca in onore di Giunone, nella notte seguente Augusto immolò una scrofa gravida alla Terra Madre. Il 3 giugno, infine, Augusto e Agrippa sul Palatino offrirono un sacrificio ad Apollo e Diana con le solite focacce di varia forma e composizione. Compiuto il sacrificio -si legge nell'epigrafe- ventisette fanciulli e altrettante fanciulle, aventi entrambi i genitori in vita, cantarono un inno in onore delle due divinità; e allo stesso modo sul Campidoglio. Carmen composuit Q.Oratius Flaccus.

Morto Virgilio nel 19, nessun altro poeta poteva ricevere l'incarico di comporre l'inno per i ludi, perché nessuno più di Orazio aveva dimostrato, specialmente con le odi romane, di saper interpretare l'essenza della grandezza di Roma. Orazio accettò l'incarico, che significava per lui riconoscimento del suo ruolo di poeta nazionale e, più ancora, consacrazione della sua attività lirica, che appunto dalla composizione del Carmen trasse nuova linfa e riprese sostanza; è questa l'opinione del Fraenkel, il quale commenta così:" Questo completo riconoscimento commosse profondamente Orazio. Delusione e rassegnazione cedettero il posto a freschi impulsi e la corrente della sua lirica che si era fermata cominciò a fluire di nuovo. E così Augusto, che due anni prima aveva salvato l'Eneide dalla distruzione, ricondusse Orazio alla sua vera vita e alla sua vera attività".

Il Carmen presenta, ovviamente, i difetti propri delle composizioni eseguite su commissione, ma, se non è sorretto da altissima ispirazione, è tuttavia opera di altissima dignità artistica e, soprattutto, di profonda sincerità. Inoltre, in tutti quei luoghi in cui il poeta può liberarsi dagli obblighi impostigli dalle circostanze o dalla liturgia e dispiegare liberamente la sua fantasia, egli raggiunge "l'intensità poetica delle sue liriche più felici, interpretando con severità e serietà il mito storico di Roma e di Ilio, ma soprattutto esprimendo un ideale quasi ieratico di potenza e di predominio" (Turolla).