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LA SPECIE: UNITA' BASE DELLA SISTEMATICA

 

Le unità naturali ordinate dai tassonomisti sono le specie. Ai tempi di Linneo la specie era intesa come un gruppo d'individui simili separati da tutti gli altri da una netta discontinuità questo concetto basato sull'aspetto (concetto morfologico di specie), si ricollega all'esperienza popolare: un cavallo si distingue da una mucca perché presenta una forma complessiva (morfologia) differente. Sebbene esistano tra le mucche differenze più o meno marcate questi animali sono più simili tra loro che a qualsiasi altro animale.

La scoperta di specie morfologicamente simili, ma riproduttivamente separate, e l'affermarsi della teoria dell'evoluzione, che sostiene il cambiamento delle specie nel tempo, portarono alla definizione del concetto biologico di specie: la specie è una comunità riproduttiva cioè è costituita dall'insieme degli organismi capaci di incrociarsi tra loro, dando origine a prole simili ai genitori e, a sua volta feconda. In questa definizione il carattere discriminante non è l'aspetto, ma l'isolamento riproduttivo.

Sebbene la definizione di specie come comunità riproduttiva isolata sia ritenuta dalla miglior parte dei tassonomisti la migliore finora ideata, a volte è difficilmente applicabile. I casi più problematici sono dovuti a:

1. Organismi a riproduzione asessuale.

2. Organismi nei quali la compatibilità è variabile nel tempo e nello spazio.

3. Popolazioni allopatriche, cioè geograficamente isolate tra loro, per le quali non esiste, in condizioni normali, alcuna possibile verifica di compatibilità riproduttiva.

4. Organismi estinti.

Questa breve rassegna di alcuni problemi che incontrano i tassonomisti nell'applicare il concetto biologico di specie dimostra che la diversità presente in natura è così elevata da rendere pressochè impossibile la definizione di concetti o leggi che attengano tutti gli organismi.