MAAG

 

MAAG

il Laboratorio di Teatro

lo Spettacolo

Il lavoro di laboratorio è iniziato per una più approfondita ricerca sui significati interni ed esterni del teatro, sulla semiologia del gesto e del movimento, sulla possibilità di superare la "rappresentazione" per una "evocazione".
Ossia un'azione teatrale atta a creare stati sottili di tensione che permettano a chi "vede" di filtrare il "segno" teatrale con la propria posizione mitica e archetipica.

L'azione di laboratorio è svincolata dalla rappresentazione, ma ha nella "rappresentazione" il momento esplosivo, la non controllata reazione-sensazione a catena, così come la favola esiste soltanto nel momento in cui l'archetipo magico, la logica forma metaforica e il sogno irreale del lettore, avatarico protagonista, si fondono o si confondono.

La realtà, l'azione, intesa come langhiano nodo tra azioni che si intersecano, e soltanto come tali visibili e riconoscibili, cambia significato per geometrica dilatazione e dilacerazione dello spazio-tempo.
Alla logica dei significati si sostituisce la ritmica degli eventi possibili.

Queste le linee di scorrimento del laboratorio, in cui lo spettacolo si pone non come fine/manifestazione, ma momento di coagulo, attimo di riflessione di un discorso che al di là del fatto rappresentativo investe l'ambito del vissuto e in cui lettore diviene sperimentazione di sé stesso e al tempo stesso creatore di magiche eventualità, giocatore di un boomerang in cui lancio e ripresa non hanno una ben definita consequenzialità temporale.

E' così che è nata una performance scenica da noi subito idealizzata come MAAG, vale a dire atmosfera "magica", stato di equilibrio-squilibrio, stato di sottile "possibilità" differente, in cui l'accaduto, l'accade e il potrebbe accadere si identificano.
Questo stato di maag è di volta in volta l'anima o il corpo del "teatro", che soltanto in esso si identifica.

Come struttura scenica è stato scelto il mito, la favola, la metafora, il fantastico come modo di essere, come maschera che di continuo sveli volti sempre differenti.
Il mito è quello della nascita-morte, o come favola della fanciulla che esce dalle acque per attraversare il bosco che affascina e inganna, il "mondo di mezzo" della favola nordica, o come "rappresentazione" nera" di una nascita funerale, epilogo di unioni senza fremito, di magia sexualis ridotta a squallido mimo, di amore come autorappresentazíone.

Ma il mito è la forma che sfugge, perché continuamente interrotta, bruciata, dilacerata da altre azioni senza senso affinché nulla rimanga come oggettivo, come dato, ma tutto sia un pretesto onirico, un invito a "ricordare".

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