Le domande di partenza: le donne non amano la scienza ?

Se ne accorse qualche tempo fa la giuria del premio Nobel: la presenza delle donne nella rosa dei vincitori per le discipline scientifiche, 10 in tutto, è abissalmente lontana dalla percentuale di popolazione femminile con un titolo di studio superiore. Questo fatto apre diversi interrogativi: le donne non amano la scienza? le donne non sono portate per gli studi scientifici? e ancora: poiché ormai l’accesso agli studi non rappresenta un problema, almeno nei paesi ricchi, la scelta della facoltà universitaria è influenzata dal fatto di appartenere a uno o all’altro sesso? oppure la questione è: perché sono tanto poche le donne che ricoprono ruoli di rilievo nella ricerca? esiste una sottostima degli apporti delle donne in campo scientifico ?

L’occasione

Stimolate da una mostra sulle donne e la scienza della Fondazione IDIS di Napoli, il Centro Eleusi dell’Università Bocconi di Milano ha avviato una ricerca sul rapporto tra donne e scienza che ha avuto esito nella mostra "Scienziate d’Occidente" esposta in Bocconi dal 5 al 15 marzo 1997.
Alcune insegnanti dell’ITIS "MOLINARI" hanno aderito all’iniziativa, sviluppando la sezione "Chimica" della mostra con studentesse delle loro classi, convinte che per delle ragazze che hanno intrapreso studi tecnico-scientifici può essere molto interessante porsi simili domande, per collocarsi in modo più libero e più consapevole nei confronti del sapere scientifico elaborato da un pensiero, che è connotato storicamente, socialmente e anche sessualmente - come è ormai ampiamente dimostrato dagli studi di diverse storiche e filosofe della scienza (come Evelyn Fox Keller ad esempio).

Lavorare per progetti

Le ragazze si sono mosse subito con entusiasmo inatteso, leggendo, traducendo testi dall’inglese, elaborando al computer il materiale con creatività e con passione. Hanno testato un questionario sull’immaginario scientifico poi proposto a quasi mille studenti; hanno preparato dei cartelloni e una breve dispensa per una giornata di ‘scuola aperta’; hanno collaborato alla preparazione della mostra all’Università Bocconi e una di loro è intervenuta alla presentazione ufficiale; hanno poi rielaborato tutto il materiale che segue in forma di dispensa. Un comportamento che contrasta con la ben nota passività e superficialità dello studente medio e che ci dimostra di aver toccato una corda giusta, di grande risonanza.
Le ragazze sono state contente di scoprire delle antenate, di poter affondare delle radici in un passato ricco di figure positive, che danno solidità ai loro progetti e ampliano le loro possibilità di scelta. Abbiamo visto i loro sguardi sorridere al pensiero di avere un destino di lavoro e di interessi non predeterminato dal fatto di appartenere ad un certo sesso.
Abbiamo visto risvegliarsi una passione - o almeno una curiosità - nei confronti di argomenti vissuti come pesanti e noiosi, quando si tratta di memorizzare formule o metodiche nella consueta pratica didattica, che sono stati rivitalizzati dal diverso approccio presente nel progetto.
In un clima di rispetto, solidarietà e responsabilità sono emersi interessi e motivazioni di ognuna, studentessa o insegnante, e, nell’intento di valorizzare le differenze e salvaguardare la dignità di ciascuna, sono state affidati alle ragazze compiti adeguati.
L’assunzione di un compito reale e concreto "ha costretto" le studentesse ad essere attive e a partecipare come vere protagoniste, sviluppando spirito di iniziativa e capacità critiche. L’organizzazione della mostra e l’elaborazione di questo fascicolo, poi, hanno permesso alle ragazze di "fare" delle cose utili, riconosciute anche dagli altri compagni e insegnanti e, soprattutto dal mondo esterno alla scuola e quindi di sentirsi partecipi e gratificate dal successo collettivo.
Tuttavia fare scuola insieme in un percorso didattico aperto ha creato anche situazioni controverse e conflittuali che ci hanno impegnato a tutti i livelli: logico, affettivo, emotivo, creativo. Infatti lavorare per progetti è, non solo una provocazione ad essere attivi, ma soprattutto un’avventura tra diversi e quindi un’occasione di crescita personale
Nel nostro Istituto l’assunzione di compiti concreti come metodologia didattica è una pratica consolidata all’interno dell’Area di Progetto introdotta nel 1990 contestualmente alla sperimentazione del corso per Fisici Ambientali e Sanitari Europei (FASE). In tale spazio organizzativo gli studenti del corso FASE hanno già realizzato progetti di ricerca di rilevanza ambientale e sociale in collaborazione con le strutture di controllo dell’ambiente operanti sul territorio.
L’Area di Progetto va vista quindi come un’opportunità per introdurre nella scuola una innovazione in termini di contenuti, obiettivi e metodologie e come un cambiamento nell’organizzazione del lavoro scolastico che coinvolga attivamente gli studenti e proietti la scuola nell’ambiente, rompendo così le barriere esistenti tra disciplina e disciplina e tra scuola e società, per costruire non solo conoscenze e abilità, ma nuovi atteggiamenti e comportamenti di responsabilità individuale e coscienza collettiva.

Fare storia della scienza

"..riappropriarsi della storia della 
scienza al fine di non cadere 
immotivatamente in un culto 
acritico della scienza stessa o in un 
rifiuto irrazionale di ogni forma di 
conoscenza scientifica." 
Nadia Robotti
Una disciplina vista attraverso la concretezza e la profondità delle biografie delle scienziate assume connotazioni nuove. La scienza perde l’astrattezza, la pretesa di oggettività con cui è di solito presentata dagli insegnanti e vissuta dagli stessi studenti, che innalzano il sapere scientifico a unico criterio e valore ideale, a volte anche senza avere ben chiare le caratteristiche di scientificità di un enunciato o di una ricerca. Il discorso scientifico è spesso nelle scuole un discorso privato di un punto di enunciazione e totalmente sradicato dalla trama storica e sociale, e ciò non è senza conseguenze sul piano morale e sul piano dell’apprendimento. Tiene lontana la scienza dal pensiero concreto, legato all’esperienza e alle domande che possono essere controllate da un giovane.
La separazione tra le discipline consolida una visione sempre più stereotipata del sapere, soprattutto di quello scientifico. Con il presente lavoro abbiamo cercato di cambiare questa impostazione progettando un lavoro di interclasse e interdisciplinare su un argomento di storia della scienza. Chi tra noi è insegnante di chimica è convinta che la conoscenza dell’evoluzione storica dei concetti della disciplina possa favorire un apprendimento più consolidato degli stessi. Nel programma di chimica del biennio ITIS riformato è stata inserita una parte di storia della chimica, che non compare invece nel triennio del Corso di Perito Chimico, tutto rivolto ad una formazione tecnico-specialistica, ed è una mancanza che pesa.
Chi di noi è insegnante di lettere ha verificato l’efficacia di uno studio della storia condotto attraverso la biografia e la storia settoriale relativa alla specializzazione frequentata dagli studenti ; ciò ha permesso loro di avvicinare il passato alla propria esperienza e di aprire così quella dimensione storica tanto lontana dalla mentalità giovanile.

Attaccare alcuni stereotipi

Una concezione "idealista" e stereotipata della scienza emerge anche dal questionario che è stato realizzato in collaborazione con il Centro Eleusi della Bocconi. Secondo la maggioranza degli studenti per fare ricerca occorre soprattutto "passione per l’oggetto della ricerca stessa" e molta "capacità di osservazione", poco necessarie invece sono ritenute "creatività" e "capacità di progettare". Il basso valore attribuito alla capacità di progettazione e alla creatività rivela forse un’immagine del tutto idealistica dello scienziato come colui che realizza le sue ricerche solo trasportato dalla "passione" e illuminato dalla "genialità" e aiutato dalla capacità di osservare. I giovani non sospettano affatto che la ricerca scientifica sia anche il risultato di attività più complesse, che comprendono teoria e pratica, ove le indagini sperimentali sono progettate e realizzate dallo stesso ricercatore.
E’ stata rilevata, inoltre, la conoscenza di pochi nomi di scienziati e di scienziate, fatto che testimonia l’ignoranza diffusa sulla storia delle scienze, i nomi degli scienziati sembrano ricavati dal mezzo televisivo piuttosto che dai manuali scolastici e dai libri.
Fare storia della scienza e in particolare ricostruire la vita di scienziati e scienziate ha avuto un effetto spiazzante e rivitalizzante presso le studentesse e ci è parso una preziosa indicazione metodologica per fare una didattica della scienza che tenga conto della differenza di genere, ma anche di classe, di sistema culturale. Una scienza, quindi che sia oggettiva in quanto non pretende una universalità e una innocenza che non ha e non può avere, ma conquista l’oggettività di chi esplicita il punto di vista da cui enuncia il suo discorso. Il terreno della storia e della biografia promette di essere uno spazio di incontro fecondo dove è possibile vedere i motivi di una scoperta, le scelte di un percorso di ricerca, e quindi comprendere formule e definizioni che acquistano spessore di volti e di emozioni.

Le difficoltà

All’inizio del nostro lavoro abbiamo avuto difficoltà soprattutto a trovare i riferimenti bibliografici. I manuali di storia della chimica che abbiamo consultato riportavano solo i nomi delle chimiche più famose, vincitrici dei premi Nobel. Tanto che si pensava di poter fare una galleria completa di tutte le donne di scienza, che ci sembravano così poche da poter essere elencate in breve. Poi poco a poco su testi specifici e su alcune riviste in lingua inglese e tramite ricerche in InterNet abbiamo trovato ampio materiale che è stato tradotto e rielaborato secondo una traccia di tipo storico.

La scoperta

Ci è piaciuto immaginare un filo rosso che collegasse la "mitica" Maria Giudea, che progettava e realizzava dispositivi per separare, recuperare essenze (il bagnomaria), a Helen Abbott Michael che nell’Ottocento identificava sostanze tossiche presenti nelle piante per studiare le malattie infettive infantili, per poi arrivare a Ellen Swallow Richards, che fece migliaia di analisi delle acque e denunciò l’inquinamento idrico nel pieno dell’espansione industriale ottocentesca e raggiunge in tempi più vicini Dorothy Crowfoot Hodgkin, schierata in prima linea nella battaglia per la pace negli anni della guerra fredda.
Abbiamo colto nelle biografie di tutte queste chimiche una nota comune che è diventata un po’ il nostro slogan: le donne si sono occupate nel loro lavoro di più settori, con metodologie diverse hanno condotto ricerche interdisciplinari , con una particolare attenzione alla società: o come divulgatrici del sapere scientifico o come utilizzatrici di applicazioni chimiche in campo medico o ambientale.

Le domande finali

Resta da affrontare una questione che è serpeggiata nel nostro lavoro fin dall’inizio: esiste una scienza al femminile? esiste un modo femminile di affrontare la ricerca scientifica? alcuni campi, o ambiti, sono più frequentati dalle donne per una affinità, una predilezione oppure le donne si trovano più rappresentate in alcuni settori soltanto perché escluse da altri più prestigiosi e più vicini a finanziamenti e spazi di potere?
Non siamo riuscite a dare una risposta soddisfacente e univoca a tali questioni.
Siamo state spesso tentate di riconoscere nelle chimiche che abbiamo incontrato tratti di una scienziata ideale: appassionata divulgatrice di sapere presso i giovani ricercatori e con una attenzione particolare alle studentesse, padrona di una operatività pratica che le consente di inventare e costruire i propri strumenti, coinvolta emotivamente e moralmente in una ricerca finalizzata a migliorare le condizioni di vita della gente, oppure a combattere le malattie; nel caso in cui fosse riuscita a ricoprire ruoli dirigenti, impegnata anche ad aprire spazi per le donne dentro o a lato delle istituzioni accademiche.
Abbiamo trovato dati a supporto di una simile tesi, ma molti altri andavano in direzioni ben diverse. Abbiamo anche incontrato figure tese solo alla propria affermazione personale, acriticamente coinvolte in ricerche di qualsiasi genere. Il colpo letale per le nostre illusioni su una specificità femminile nella scienza è stato inferto dalla scoperta di alcune scienziate presenti all’interno del Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica. Nessuna innocenza è più sostenibile, allora, e i confini del nostro ritratto diventano sfumati e incerti.
Ma forse rimane un punto di vista diverso, una accentuazione, un approccio differente al proprio oggetto di ricerca: la ‘simpatia’ sostituisce il canonico distacco se l’occhio al microscopio è quello di una ricercatrice, come sostiene Evelyn Fox Keller riflettendo sulle ricerche di Barbara McClintock, Nobel per la biologia e la medicina nel 1995. Può essere una specificità oppure una ghettizzazione. Ci si muove sullo stretto crinale che divide un ghetto da una prospettiva nuova, ci si muove su una linea di confine: si è ai margini ma liberi di osservare le cose da diversi punti di vista, che aprono la speranza in una scienza che oltrepassa i confini ma rispetta i limiti.

Il parere delle ragazze

L’occasione di partecipare a questo progetto ci ha dato l’opportunità di schiudere nuove porte della scienza, esplorando l’origine della chimica e il mondo pressoché sconosciuto delle donne che hanno contribuito allo sviluppo della scienza. Se pensiamo agli ostacoli, alle difficoltà, che esse hanno dovuto sopportare non possiamo che tentare di diffondere le loro storie, in cui la passione e la determinazione sconfiggono ogni pregiudizio.
Ed è con la stessa passione che ci siamo unite in un gruppo di lavoro e abbiamo sviluppato questo progetto.
Preparando i cartelloni per la ‘giornata aperta’ del gennaio '97 al Molinari abbiamo cercato di trasmettere il nostro piacere a vivere la scuola in questo modo e il risultato del nostro lavoro ci ha incoraggiato a proseguire nelle ricerche. Ma non siamo noi a meritare i complimenti, noi abbiamo solo riportato alla luce degli avvenimenti e delle scienziate che hanno fatto la storia della chimica e che sono state trascurate, sottovalutate e a volte ingannate. Siamo noi che vogliamo complimentarci con loro, perché non avevano le stesse possibilità che ci sono concesse oggi, eppure sono riuscite a imporsi in un ambiente esclusivamente maschile. Per questo dobbiamo cercare di dare il meglio di noi stesse, per non sprecare le battaglie vinte in passato.
L’influenza delle donne nella ricerca chimica non è da sottovalutare: ogni buon chimico conosce le leggi di Faraday, ma forse non sa che il famoso fisico autodidatta utilizzò come testo per lo studio della chimica anche un’opera di Jane Haldimand Marcet, Conversations on Chemistry,.
In laboratorio studiamo gascromatografia e siamo orgogliose di scoprire che questa tecnica analitica, oggi indispensabile, è stata sviluppata dalla tedesca Erika Cremer. Grazie a questo nuovo modo dei studiare non solo abbiamo scoperto i retroscena della chimica e rivalutato la sua componente femminile ma - tra libri, fotocopie, foto e dischetti - abbiamo fatto delle nuove amicizie, abbiamo avuto modo di confrontarci e collaborare anche con le insegnanti diverse del nostro istituto che ci hanno indirizzato e sostenuto. Siamo riuscite a vedere la scuola da un’ottica diversa e, grazie a questo progetto, abbiamo capito che si può imparare qualcosa di nuovo in modo piacevole: basta uscire un po’ dagli schemi per risvegliare l’interesse e la voglia di produrre un buon lavoro.
Lavorando a questo progetto noi giovani chimiche abbiamo voluto dimostrare che quando Maria Edgeworth nei 1795 affermò che la chimica è una scienza particolarmente adatta alle donne, non aveva poi tutti i torti.
Ringraziamo tutte le insegnanti che ci hanno aiutato a realizzare questo lavoro, ma in particolare vogliamo ringraziare la professoressa Sara Sesti, del Centro Eleusi-Pristem dell’Università Bocconi di Milano, che ci ha dato preziose indicazioni nella ricerca dei dati e con i suoi incoraggiamenti ci ha permesso di arrivare sino alla fine.