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Chimica:
scienza particolarmente adatta alle donne



La chimica è considerata disciplina di interfaccia anche in quanto fornisce alle altre scienze, come elemento unificante, il suo linguaggio di rappresentazione.
In fondo rimane nel patrimonio genetico della chimica "un gene olistico" lasciatole in eredità dalla lontana progenitrice alchimia, intesa non tanto come arte magica e esoterica ma come ricerca globale che "porta alla luce quello che è occulto nella natura" come scrisse Paracelso (1493-1541).
Forse proprio per queste caratteristiche di scienza centrale e trasversale "la chimica è una scienza particolarmente adatta alle donne, adatta ai loro talenti alla loro situazione." (M. Edgeworth)
Questa intuizione è confortata dal fatto che abbiamo trovato, nei nostri incontri con le chimiche, figure come Ellen Swallow Richards, che parte dallo studio di problemi di chimica delle acque e arriva alla definizione di una nuova disciplina, l'ecologia; Helen Abbott Michael, che parte dall'analisi delle sostanze presenti nelle piante per giungere alla applicazione delle sue scoperte nella prevenzione delle malattie infantili.
Le prime chimiche iniziarono a lavorare in condizioni precarie, incontrandosi in laboratori realizzati in casa, in quanto le porte delle istituzioni scientifiche ai più alti livelli erano loro sbarrate.
Quando alle donne venne aperto l'accesso alle università, (1860 in Svizzera, 1870 in Inghilterra, 1876 in Italia, 1880 in Francia) come docenti e come studentesse, il loro contributo alla ricerca chimica potè finalmente realizzarsi, anche se ancora con difficoltà.
Gradualmente, comunque, furono in grado di frequentare ovunque le facoltà universitarie e ottenere dei posti nei laboratori. Alla fine del secolo XIX per una donna che lavorava nella sua cucina, altre ispiravano la formazione di laboratori accessibili al loro sesso. Soprattutto negli USA fondarono dei college femminili.
Alcune di esse vinsero molti premi, furono a capo di grandi laboratori, contribuirono alla scoperta di tecniche che hanno cambiato la pratica della chimica (come l'introduzione del gas-cromatografo da parte di Erika Cremer), contribuirono a ricerche fondamentali in campo biochimico per la comprensione delle cause di molte malattie.
Sebbene poche raggiungessero alte posizioni accademiche, le loro scoperte furono di inestimabile importanza nello sviluppo della chimica.
La pazienza e la tenacia nel condurre a termine le ricerche e una straordinaria sapienza nella operatività pratica, che spesso si tradusse nella vera e propria invenzione e costruzione di nuovi strumenti, caratterizzavano la presenza femminile nella chimica sperimentale.
In questa ideale galleria di ritratti si distingue l'immagine di Marie Curie che instancabilmente, per mesi, purificò con le proprie mani tonnellate di pechblenda per ricavare un grammo di uranio.
Nella prima metà del XX secolo un elemento a favore della carriera delle donne fu la duttilità nell'accettare ricerche in settori periferici della chimica; risulta che ciascuno di questi campi che poi ebbe una notevole espansione, abbia avuto come fattore comune il fatto di sovrapporsi ad altre discipline: la cristallografia con la fisica e la mineralogia, la biochimica con la biologia. Così la ricerca non fu indirizzata verso la corrente principale della chimica e di conseguenza i leaders nei vari campi furono giovani sperimentatori dinamici piuttosto che persone rappresentative dell'ordine costituito.
Questo spiega come mai molte donne, grazie alla loro duttilità, all'apertura a soluzioni innovative e al desiderio di una conoscenza più approfondita della natura dei problemi, laddove i laboratori di chimica organica furono loro negati, lavorarono e furono ben accette nel campo della biochimica della alimentazione o della chimica agraria.
Gli scienziati tradizionali qualche volta contestarono addirittura l'esistenza di questi campi, per esempio il fisico inglese J. J. Thompson sostenne per molti anni che la radioattività non era niente di più di un semplice fenomeno fisico o chimico, piuttosto che un campo completamente nuovo della scienza.
Lo storico della scienza Rossiter ha osservato che le aree di ricerca di nuovo sviluppo, i campi scientifici in rapida crescita, avendo poco personale a disposizione, probabilmente gradivano le donne per rispondere alla richiesta di personale. Nel caso della biochimica, le cose stavano proprio così e i ricercatori vi potevano accedere da varie esperienze precedenti: "le qualifiche professionali di ammissione dei suoi professionisti non erano ben definite. Questa mancanza di autorità, dovuta alla lentezza dell'Accademia dei Chimici nel riconoscere il pieno potere e le risorse potenziali della ricerca nel campo, offre una spiegazione della sua relativa apertura alle donne." (Creese)
Anche quando ufficialmente le porte del sacrario accademico furono aperte, non dappertutto le donne vennero accolte nella comunità scientifica come i loro colleghi, vennero escluse di fatto da quei momenti di scambio informale che costituiscono una parte tanto importante nel lavoro dello scienziato.
Ad esempio in Inghilterra gran parte del dibattito scientifico avveniva nei Clubs, tradizionalmente solo maschili, questo fu probabilmente uno dei motivi della emarginazione subita da Rosalind Franklin all'interno dell'équipe di ricerca sul DNA di Cambridge.
Ma non tutti gli ambienti scientifici furono ostili alle donne, anzi, in alcuni casi l'incoraggiamento da parte dei superiori o di scienziati affermati contribuì al successo femminile. Ad esempio, nei primi anni della cristallografia William H. Bragg e suo figlio William L. Bragg accolsero donne nei loro gruppi di ricerca. Kathleen Lonsdale riconobbe che proprio grazie all'influenza di W. L. Bragg il numero di donne ricercatrici aumentò del 20% rispetto al totale. Non si trattava solo di ammettere le studentesse nei gruppi: almeno in cristallografia, fu l'attitudine non aggressiva dei supervisori ad assumere un ruolo vitale per l'incoraggiamento delle donne.
"In qualche modo i cristallografi della prima e della seconda generazione (nonché taluni della terza) fornivano in maniera consistente l'impressione di lavorare con piacere, per puro diletto; l'idea di competitività sembrò emergere in maniera incisiva solo negli anni Sessanta. Le società non competitive tendono a facilitare e sostenere l'attività delle donne." (Seyre)

Negli Stati Uniti fu Lafayette Mendel all'Università di Yale che svolse un ruolo importante per le biochimiche. Icie Macy Hoobler, una delle sue prime studenti, avvertì il sostegno e l'incoraggiamento di Mendel come vitali per la sua formazione morale:
"Egli possedeva un modo così delizioso e altruista di condurti sulla giusta strada e di spingerti e stimolarti ad andare sempre avanti."
Riportiamo, infine, un frammento di una lettera al Times di Londra che E. Rutherford scrisse assieme al suo collega W. Pope. Il motivo di questa lettera si riconduceva all'esplosione di rabbia avvenuta all'Università di Cambridge riguardo la questione se le donne dovessero essere ammesse nell'Università con gli stessi privilegi degli uomini. Rutherford e Pope scrissero :
"Per quanto ci riguarda, noi accettiamo la presenza delle donne nei nostri laboratori con l'intesa che la loro presenza in questa Università dia a questa nuova generazione la possibilità di prendere il proprio posto nel mondo esterno, dove, uomini e donne, in misura sempre crescente, vengono chiamati a lavorare con armonia, gli uni accanto agli altri, in ogni sfera dei rapporti umani."
Alla fine della nostra ricerca ci è parso che il contributo delle donne alla chimica sia caratterizzato da una tendenza a esplorare in modo particolare i territori di confine tra un settore e l'altro e tra una disciplina e l'altra.
Pertanto riteniamo che la chimica, scienza trasversale, sia "particolarmente adatta alle donne" e alla loro capacità di oltrepassare i confini.



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