Nel giugno 1632 si chiese a Galileo di abbandonare ogni finzione e di confessare se realmente egli avesse creduto in Copernico: o diceva la verità, oppure si sarebbe passati alla tortura. Le sorti del processo erano decise. Sette dei dieci cardinali inquisitori stesero un atto di sentenza. Il 22 giugno 1632 l’accusato fu trasferito in S.Maria della Minerva ed informato d’essere "vehemente sospetto d’ heresia" e quindi soggetto alle pene prescritte "contro simili delinquenti". Il dialogo era proibito e Galileo, condannato al carcere, fu costretto a leggere un pubblico atto di abiura:

"Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie, e generalmente ogni et qualunque altro errore, heresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali e per le quali si possa haver di me simil sospitione; ma se conoscerò alcun heretico e che sia sospetto d’heresia, lo denontierò a questo S. Offizio ovvero all’Inquisitore o Ordinario del luogo dove mi trovarò. Giuro anco e prometto d’adempire et osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Offizio imposte; e contravvenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da’ sacri canoni et altre costitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e prolungate. Cosi Dio mi aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani".

Galileo fu dapprima trasferito a Siena, sotto la custodia dell’amico ed arcivescovo Piccolomini in una sorta di carcere in vescovado. Pochi mesi più tardi gli si permise di vivere nella casa di Arcetri agli arresti domiciliari dove morì l’8 gennaio 1642.