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La ginestra o il fiore del deserto

Qui su l'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor nè fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti.

                                                                            G.Leopardi
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Le ginestre

Sorgeva un monte alto e maestoso, coronato di fuoco, in una terra divinamente bella, ricca di vigneti, olezzante di fiori. Le onde azzurre lambivano quella terra e le sussurravano parole armoniose; in tanta gioia e magnificenza della natura, le ninfe del mare sorridevano a quelle dei boschi e delle montagne, che intrecciavano danze. A loro si univano le piccole fate dei giardini, che cantavano con voci soavi; dall’ alto del monte rispondevano le divinità montane e un coro meraviglioso riempiva di sé la campagna. A volte avveniva che il vulcano si destasse, emettendo cupi boati: allora si vedevano lingue di fuoco guizzare nell’ombra della notte. Ma in quei tempi favolosi nessuno aveva paura delle eruzioni. Non vi erano paesi, non vi erano case. Soltanto gli esseri fantastici aleggiavano tra le pinete ed il mare, ed essi non temevano di nulla. In uno di quei giardini, che dai colli degradano dolcemente alla spiaggia, sbocciava, fiore di leggiadria, la piccola fata Liù. Gli occhi limpidi della fanciulla avevano il riflesso verdazzurro delle onde, le sue gote delicate il profumo dei fiori, la sua persona la snellezza e la flessuosità di un pino giovanetto. Creatura eterea, viveva di profumo e di ambrosia, amava cingersi tutta di fiori, e parlava in dolci versi alla corolle da lei tanto amate. Spesso con le sue compagne, cui era legata da tenerezza e confidenza profonda, si recava verso il monte, e insieme salivano lungo i sentieri, per niente atterrite dal pensiero che potessero allo improvviso scatenarsi lapilli infuocati. Soltanto dava loro melanconia la vista di quel terreno arsiccio, dove nessun fiore poteva sbocciare. –Sorelle, invitare i nostri amici della montagna a una festa di primavera?- propose una sera Liù, che era piena di idee gentili, alle amiche. –Li rallegreremo col profumo e coi colori vivaci dei nostri fiori. A tale proposta gioirono Fragoletta, Lucciola, Iris e le altre graziose fatine ;e tutte si misero al lavoro per preparare un ballo gioioso.- Io eseguirò le note più soavi – disse Rititì, l’ usignolo fatato. E Chiaro di luna, la sorella maggiore di Liù, donò a tutte delle vesti d’ argento filato. In una sera di aprile, quando appena il primo glicine profumava l’aria, tutti i geni e le fate e le ninfe si raccolsero su tappeti di muschio e intrecciarono le loro danze, e bevvero rugiada nei calici verdi, e gustarono pietanze profumate e leggere. Si ballò nel plenilunio di primavera, e Liù era più bella che mai ,nella sua veste così chiara, coi morbidi capelli adorni di roselline, e aleggiava tra i cespugli come una farfalla. Ora avvenne che un giovane dio della montagna , danzando con la piccola fata, fu preso da vivo amore per lei. Se Liù era soave come un giglio, dolce come un sogno di primavera, il giovane dio era bello e bruno, potente e nobile, e portava nei neri occhi e nell’anima ardente fuoco del suo vulcano natio. Plaudirono tutti nella notte di aprile, al suo amore per Liù ed intonarono canti augurali per le prossime nozze. Solo ne piansero sommessamente le fate dei giardini, dolenti che la loro sorellina le lasciasse per andare sul monte, alla dimora dello sposo.

Trascorsero lievi e rapidi i giorni; e alla primavera odorosa seguì la torrida estate . Le divinità romane attendevano in festa la gentile creatura, che avrebbe portato nuova grazia, nuova poesia nella loro vita solitaria. 

E Liù salì, sorridendo, verso le pendici bruciate in una sera di luglio, mentre tutti esultavano e il vulcano per festeggiarla si coronava di fuoco. Il dio della montagna le offrì i più bei doni, le ninfe le si inchinavano premurose, e anche le stelle dal cielo sembravano brillare di gioia.

Ma purtroppo tristi giorni si preparavano loro…

La piccola fata, nata nel calice di una ninfèa, educata e nutrita dai fiori, si avvide ben presto che non poteva sopportarne l’assenza, e ne chiese allo sposo.

Qui non crescono fiori né frutta, bianca, piccola Liù. Qualunque cosa vorrai ti sarà concessa, ma non chiedere questa.
E Liù, sfiorite le ghirlande che le cingevano il capo, intrecciate per lei dalle premurose compagne, non respirò più profumi, non ebbe più corolle in cui riposare il suo sguardo. Invano furono piantati nel terreno pietroso i semi più rari. Nessun fiore nasceva. Invano i piccoli folletti corsero giù a raccogliere fasci di margherite e di rose; quando ritornavano alla dimora del loro Signore le fresche corolle erano tutte avvizzite. Così la giovane Liù. Anch’ essa, giovane corolla, deperiva. E fu necessario rimandarla al giardino natio, tra le fate e i fiori. Ma il nobile Dio, dal cuore ardente come il suo vulcano, emise grida di dolore che ripercorsero selvagge nel silenzio dei monti. Impietosite le ninfe si genuflessero, chiedendo al cielo un miracolo, e pregarono anche la terra perché , benigna, volesse donare almeno una corolla.Il giovane dio era giovane e generoso e il suo dolore commosse tutti. Ein una notte di settembre avvenne il prodigio…

L’arido terreno sentì che dal suo grembo un fiore poteva sbocciare;e il sole mandò tutto il suo oro per colorare quel fiore solitario.

All’alba la montagna infeconda, sterminatrice , era cosparsa di splendide corolle, spuntate tra i lapilli e le ceneri. Al prodigio fremettero di gioia le ninfe e i folletti, e il dio della montagna, raggiante, corse dalla fata dei giardini recandole la ricca messe dorata. – Sono i fiori della mia terra sbocciati in una notte di settembre, per amore della piccola Liù. Le saranno graditi ?…Le appariranno leggiadri? 

Le odorose ginestre fiorirono ancora a primavera, e da allora ritornarono tutti gli anni sull’arido monte. E, dopo tanti secoli ispirarono versi divini a un Poeta, versi che anche voi, fanciulli, leggerete e amerete:

"Qui sull’ arida schiena 

del formidabil monte,

sterminator Vesevo,

la qual null’ altro allegra arbor né fiore

tuoi cespi solitari intorno spargi,

odorata ginestra

contenta dei deserti".

E fioriscono ancora, nella primavera e nell’autunno, lungo le pendici del vulcano che dall’alto si specchia nell’ azzurro Tirreno e domina maestoso il più bel golfo del mondo.