L'intervento delle divinità'
era spesso ritenuto risolutore come ci dice Virgilio in Aen, XII, 391-424:
Iamque aderat Phoebo ante alios dilectus
Iapjx Iasides, acri quondam quoi captus amore Ipse suas artes sua munera
laetus Apollo augurium citharamque dabat celerisque sagittas. |
E già' veniva caro tra tutti a Febo,
Iapige figlio di Iaso, al quale un giorno Apollo preso da ardente
amore, voleva concedere le proprie arti, i suoi doni, il vaticinio,
e la cetra e le veloci frecce. |
Ille, ut depositi proferret fata parentis,
scire potestates herbarum usumque medendi maluit et mutas agitare inglorius
artes. Stabat acerba fremens ingentem nixus in hastam Aeneas magno iuvenum
et maerentis Iuli |
Egli, per protrarre la vita al padre morente,
preferì' conoscere il potere delle erbe e la pratica della medicina,
ed esercitare oscuro le mute arti. Enea fremendo aspramente ristava
appoggiato alla grande asta, tra il largo accorrere dei giovani e di Iulo |
concursu, lacrimis immobilis. Ille retorto
Paeonium in morem senior succinctus amictu multa manu medica Phoebique
potentibus herbis nequiquam trepidat, nequiquam spicula dextra sollicitat
prensatque tenaci forcipe ferrum. |
angosciato; immobile davanti alle lacrime. Il
vecchio succinto con veste ritorta, secondo l'uso peonio, con valida mano
di medico e con erbe potenti di Febo, vanamente si affanna, vanamente
sollecita con la mano, la punta del dardo e stringe il ferro con pinza
tenace.
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Hic Venus indigno nati concussa dolore dictamnum
genetrix Cretaea carpit ab Ida, puberibus caulem foliis et flore comantem
purpureo (non illa feris incognita capris gramina, cum tergo volucres haesere
sagittae): |
Qui la madre Venere, turbata dall'immeritato
dolore
del figlio, colse sull'Ida cretese il dittamo, stelo dalle rigogliose
foglie e chiomato da fiori purpurei; erba non ignota alle capre selvatiche,
quando alate frecce si piantano sul loro dorso: |
hoc Venus obscuro faciem circumdata nimbo
detulit; hoc fusum labris splendentibus amnem inficit occulte medicans
spargitque salubris ambrosiae sucos et odoriferam panaceam. Fovit ea volnus
lympha longaevos Iapyx |
Venere lo recò, avvolta l'aspetto d'oscuro
nembo; con quello intrise le acque versate in una lucida conca, medicandole
in segreto, e sparse succo di salubre ambrosia e odorosa panacea. Il vecchio
Iapige ignaro, curo' la ferita con quell'acqua; |
ignorans, subitoque omnis de corpore fugit
quippe dolor, omnis stetit imo volnere sanguis; iamque secuta manum nullo
cogente sagitta excidit atque novae rediere in pristina vires. |
subito tutto il dolore fuggi' dal corpo, e tutto
il sangue stagno' nella profonda ferita. E già' seguendo la mano,
la freccia cadde, senza che nessuno intervenisse, e le energie rinnovate
tornarono simili a prima.
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