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IL CULTO DI ESCULAPIO

 

1. Il culto di Esculapio
1.2 Ovidio (Metam. XV, 626 - 728)
2. Immagini

 

Il culto di Esculapio venne introdotto a Roma nel 291 a.C. con la dedicazione solenne sull'Isola Tiberina di un tempio li' appositamente costruito.

Aesculapio era il nome Romano del dio greco Asclepio, i cui attributi erano quelli di swthr ( "salvatore" ) e di iatroV
( "guaritore" ). Egli era considerato il figlio del dio Apollo e allievo del Centauro Chirone. Il culto di Asclepio come dio oracolare e poi anche medico, raffigurato con il serpente e con l'omfaloV ebbe origine in Tessaglia e si diffuse in tutta la Grecia e poi anche a Roma.

La tradizione, riportata anche da Livio, Valerio Massimo, Strabone, Plutarco, vuole che il culto di Esculapio a Roma venisse introdotto tra il 292 e il 291 a.c. in seguito ad una violenta pestilenza.

Cosi' Ovidio (Metam. XV, 626 - 728):
 
Dira lues quondam Latias vitiaverat auras. Funeribus fessi postquam mortalia cernunt temptamenta nihil, nihil artes posse medentum, Diro contagio una volta vizio' l'atmosfera del Lazio. Poiche' sgomenti di tanti cadaveri videro vani tutti i rimedi mortali e dei medici inutile l'arte,
auxilium caeleste petunt mediamque tenentis orbis humum Delphos adeunt, oracula Phoebi, utque salutifera miseris succurrere rebus sorte velit tantaeque urbis mala finiat, orant. Et locus et laurus et, quas habet ipse pharetras, chiesero al cielo soccorso e recatosi a Delfi, nel centro posta del mondo, ove siede l'oracolo pitio, pregando Febo che con salutare responso aiutasse la loro misera sorte e facesse cessare la peste di Roma. Tremo' il delubro e l'alloro, tremo' la faretra del dio
intremuere simul, cortinaque reddiditimo hanc adyto vocem pavefactaque pectora movit:  

"Quod petis hinc, propiore loco, Romane, petisses et pete nunc propiore loco! nec Apolline vobis, qui minuat luctus, opus este, sed Apolline nato. Ite bonis avibus prolemque accersite nostram!"

e dall'interno dell'antro del tripo di questa risposta impaurendo quei trepidi cuori: "Romano, l'aiuto che di qui chiedi, l'avresti dovuto cercare in un luogo ben più' vicino, e domandalo ora in più' prossimo luogo. 

Non vi bisogna il soccorso d'Apollo, che mitighi i lutti, ma d'Esculapio, figliuolo d'Apollo. con ottimi auspici ora partite, Romani, e chiamate da voi Esculapio". 

 

 



 
Vix bene desierant, cum cristis aureus altis in serpente deus paenuntia sibila misit adventuque suo signumque arasque foresque marmoreumque solum fastigiaque aurea movit pectoribusque tenus media sublimis in aede constitit atque oculos circumtulit igne micantetes. Dissero; e il nume, ora serpe, lucente di creste dorate, fischi mando' nunziando qual era il volere divino; scosse con la sua presenza la statua, l'ara, le porte, il pavimento di marmo, la volta dorata; e diritto infin al petto nel mezzo del tempio fermandosi gira gli occhi dattorno che vibrano fuoco.
Territa turba pavet; cognovit numina castos evinctus vitta crines albente sacerdos "En, deus est, deus est! animis linguisque favete, quisquis ades!" dixit "Sis, o pulcherrime, visus utiliter populosque iuves tua sacra colentes!" La turba stupita impaurì': il sacerdote, ricinto di candida benda gli immacolati capelli, senti' la presenza del nume ed "Ecco il nume, esclamo', ecco il nume! pregate su via e con la bocca e col cuore voi tutti che siete presenti. Nume bellissimo, che sia propizia la tua visione e che tu giovi alla turba che adora devota i tuoi templi!"
Quisquis adest, visum veneratur numen, et omnes verba sacerdotis referunt geminata piumque Aeneadae praestant et mente et voce favorem. Adnuit his motisque deus rata pignora cristis et repetita dedit vibrata sibila lingua. Tutti i presenti, com'era ordinato, s'inchinano al dio, tutti le preci ripetono del sacerdote; e i Romani e con la voce e col cuore l'adorano fervidamente. Verso di loro il serpente fa' cenno e, scotendo le creste, diede segni certi fischiando piu' volte e vibrando la lingua.
Tum gradibus nitidis delabitur oraque retro flectit et antiquas abiturus respicit aras adsuetasque domos habitataque templa salutat Scivola giu' per le scale di marmo, ritorce la testa e, nel partire, rimira gli altari vetusti ed il suo tempio saluta e saluta quell'ara su cui abitava.
 


 
corpus in Ausonia posuit rate; numinis illa sensit onus pressa estque dei gravitate carina. Poi s'adagio' nella nave del Lazio. E la nave il divino pondo senti', la carena geme' dell'incarco pesante
Aeneadae gaudent caesoque in litore tauro torta coronatae solvunt retinacula navis. Inpulerat levis aura ratem: deus eminet alte inpositamque premens puppim cervice recurvam caereuleas despectat aquas modicisque per aequor Ionium Zephyris sextae Pallantidos ortu Italiam tenuit Ne furono lieti i Romani e, sgozzato un torello sul lido,sciolser le funi contorte alla nave ricinta di serti. L'aria leggera sospinge la nave, su cui s'erge il dio alto, che preme col capo piegato la poppa ricurva, guarda il ceruleo mare e pel Ionio con zeffiri lievi tocca le spiagge d'Italia con l'alba del sesto mattino.
 


 
Aequore placato patrias Epidaurius aras linquit et hospitio iuncti sibi numinis usus litoream tractu squamae crepitantis harenam sulcat et innixus moderamine navis in alta puppe caput posuit, donec Castrumque sacrasque Lavini sedes Tiberinaque ad ostia venit. Quando fu il mare quieto, lascio' quell'altare paterno, che l'ospito', e serpeggiando con giri sonori di squame solco' l'arena del lido e, poggiandosi sopra il timone, su l'alta poppa poso' la cervice fin tanto che attinse 
Castro e Lavinio, la sacra dimora, e le bocche del Tebro.

 

 

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Tempio dedicato ad Esculapio sull'isola Tiberina
Statua rappresentante il Dio