Il culto di Esculapio
venne introdotto a Roma nel 291 a.C. con la dedicazione solenne sull'Isola
Tiberina di un tempio li' appositamente costruito.
Aesculapio era il nome Romano del dio greco Asclepio, i cui attributi
erano quelli di swthr ( "salvatore" ) e di iatroV ( "guaritore" ).
Egli era considerato il figlio del dio Apollo e allievo del Centauro Chirone.
Il culto di Asclepio come dio oracolare e poi anche medico, raffigurato
con il serpente e con l'omfaloV ebbe origine
in Tessaglia e si diffuse in tutta la Grecia e poi anche a Roma.
La tradizione, riportata anche da Livio, Valerio Massimo, Strabone,
Plutarco, vuole che il culto di Esculapio a Roma venisse introdotto tra
il 292 e il 291 a.c. in seguito ad una violenta pestilenza.
Cosi' Ovidio (Metam. XV, 626 - 728):
Dira lues quondam Latias vitiaverat
auras. Funeribus fessi postquam mortalia cernunt temptamenta nihil, nihil
artes posse medentum, |
Diro contagio una volta vizio' l'atmosfera
del Lazio. Poiche' sgomenti di tanti cadaveri videro vani tutti i rimedi
mortali e dei medici inutile l'arte, |
auxilium caeleste petunt mediamque
tenentis orbis humum Delphos adeunt, oracula Phoebi, utque salutifera miseris
succurrere rebus sorte velit tantaeque urbis mala finiat, orant. Et locus
et laurus et, quas habet ipse pharetras, |
chiesero al cielo soccorso e
recatosi a Delfi, nel centro posta del mondo, ove siede l'oracolo pitio,
pregando Febo che con salutare responso aiutasse la loro misera sorte e
facesse cessare la peste di Roma. Tremo' il delubro e l'alloro, tremo'
la faretra del dio |
intremuere simul, cortinaque
reddiditimo hanc adyto vocem pavefactaque pectora movit:
"Quod petis hinc, propiore loco, Romane, petisses et pete nunc propiore
loco! nec Apolline vobis, qui minuat luctus, opus este, sed Apolline nato.
Ite bonis avibus prolemque accersite nostram!" |
e dall'interno dell'antro del tripo
di questa risposta impaurendo quei trepidi cuori: "Romano, l'aiuto che
di qui chiedi, l'avresti dovuto cercare in un luogo ben più' vicino,
e domandalo ora in più' prossimo luogo.
Non vi bisogna il soccorso d'Apollo, che mitighi i lutti, ma d'Esculapio,
figliuolo d'Apollo. con ottimi auspici ora partite, Romani, e chiamate
da voi Esculapio".
|
Vix bene desierant, cum cristis aureus altis
in serpente deus paenuntia sibila misit adventuque suo signumque arasque
foresque marmoreumque solum fastigiaque aurea movit pectoribusque tenus
media sublimis in aede constitit atque oculos circumtulit igne micantetes. |
Dissero; e il nume, ora serpe, lucente di creste
dorate, fischi mando' nunziando qual era il volere divino; scosse con
la sua presenza la statua, l'ara, le porte, il pavimento di marmo, la volta
dorata; e diritto infin al petto nel mezzo del tempio fermandosi gira gli
occhi dattorno che vibrano fuoco. |
Territa turba pavet; cognovit numina castos
evinctus vitta crines albente sacerdos "En, deus est, deus est! animis
linguisque favete, quisquis ades!" dixit "Sis, o pulcherrime, visus utiliter
populosque iuves tua sacra colentes!" |
La turba stupita impaurì': il sacerdote,
ricinto di candida benda gli immacolati capelli, senti' la presenza del
nume ed "Ecco il nume, esclamo', ecco il nume! pregate su via e con la
bocca e col cuore voi tutti che siete presenti. Nume bellissimo, che
sia propizia la tua visione e che tu giovi alla turba che adora devota
i tuoi templi!" |
Quisquis adest, visum veneratur numen, et
omnes verba sacerdotis referunt geminata piumque Aeneadae praestant et
mente et voce favorem. Adnuit his motisque deus rata pignora cristis et
repetita dedit vibrata sibila lingua. |
Tutti i presenti, com'era ordinato, s'inchinano
al dio, tutti le preci ripetono del sacerdote; e i Romani e con la voce
e col cuore l'adorano fervidamente. Verso di loro il serpente fa' cenno
e, scotendo le creste, diede segni certi fischiando piu' volte e vibrando
la lingua. |
Tum gradibus nitidis delabitur oraque retro
flectit et antiquas abiturus respicit aras adsuetasque domos habitataque
templa salutat |
Scivola giu' per le scale di marmo, ritorce
la testa e, nel partire, rimira gli altari vetusti ed il suo tempio
saluta e saluta quell'ara su cui abitava. |
corpus in Ausonia posuit rate; numinis illa
sensit onus pressa estque dei gravitate carina. |
Poi s'adagio' nella nave del Lazio. E la nave
il divino pondo senti', la carena geme' dell'incarco pesante |
Aeneadae gaudent caesoque in litore tauro
torta coronatae solvunt retinacula navis. Inpulerat levis aura ratem: deus
eminet alte inpositamque premens puppim cervice recurvam caereuleas despectat
aquas modicisque per aequor Ionium Zephyris sextae Pallantidos ortu Italiam
tenuit |
Ne furono lieti i Romani e, sgozzato un torello
sul lido,sciolser le funi contorte alla nave ricinta di serti. L'aria leggera
sospinge la nave, su cui s'erge il dio alto, che preme col capo piegato
la poppa ricurva, guarda il ceruleo mare e pel Ionio con zeffiri lievi
tocca le spiagge d'Italia con l'alba del sesto mattino. |
Aequore placato patrias Epidaurius aras linquit
et hospitio iuncti sibi numinis usus litoream tractu squamae crepitantis
harenam sulcat et innixus moderamine navis in alta puppe caput posuit,
donec Castrumque sacrasque Lavini sedes Tiberinaque ad ostia venit. |
Quando fu il mare quieto, lascio' quell'altare
paterno, che l'ospito', e serpeggiando con giri sonori di squame solco'
l'arena del lido e, poggiandosi sopra il timone, su l'alta poppa poso'
la cervice fin tanto che attinse
Castro e Lavinio, la sacra dimora, e le bocche del Tebro. |
|
|