MUSICA GRECA ANTICA

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Quando si parla di musica greca, più che alla musica in sé, della quale poco o nulla rimane, si accenna piuttosto alla concezione che della musica ebbero i Greci, concezione trasmessaci attraverso un complesso di notizie leggendarie, storiche o letterarie.
Ci sono giunte antiche leggende, che testimoniano l’immenso potere che veniva attribuito alla musica:

In tali leggende traspare la concezione di musica quasi come potere soprannaturale. Ciò è confermato negli scritti dei massimi filosofi greci, tanto che viene da supporre che i Greci possedessero una sensibilità musicale enormemente maggiore della nostra. La musica greca, per quel poco che ce ne resta, non pare dovesse essere molto progredita, anzi ci appare in uno stato piuttosto rudimentale.
Essa era povera di strumenti (che si riducevano a due tipi, l’aulos, uno strumento a fiato, e la lira, uno strumento a corda), priva di qualsiasi nozione di armonia, con frequenti ritorni sulla nota centrale e con una scarsa vivacità del ritmo.
Come è noto, musica e poesia furono strettamente unite in Grecia: da Omero, rappresentato come cantore cieco che s’accompagna con la cetra, fino ai lirici, parole e musica nacquero contemporaneamente dal cuore di un solo artista. Nel contempo acquistava importanza e si avviava a perfezione la danza, l’arte che esprime i sentimenti per mezzo del gesto. Ad un certo punto questi tre elementi, musica, poesia e danza, si fusero in un solo complesso artistico, da cui si sviluppè la tragedia. E' certo che essa avesse avuto origine religiosa, da sacrificio di un caprone, sull’altare di Dioniso, del quale il sacerdote narrava le vicende terrene. Questa racconto cantato, chiamato ditirambo, andò man mano evolvendosi, perdendo ogni rapporto con Dioniso e con il suo culto; divenne semplicemente un racconto, dialogato tra un personaggio e un coro di qualche fatto leggendario.
Per quanto riguarda la concezione musicale dei filosofi, essa è contrassegnata dall’incapacità di cogliere il fatto musicale nella sua autonomia ed essenzialità e di subordinarlo invece a un criterio scientifico o morale. Era venuta prima la teoria numerica di Pitagora, il quale, scoprendo un rapporto regolato da numeri fissi tra le lunghezze della corda e le note da esse generate, senza curarsi di constatare se tale fenomeno corrispondesse nella realtà pratica musicale, aveva stabilito che l’accordo di due suoni è l’accordo di due numeri determinati e semplici. Seguì Platone, il maggiore rappresentante della concezione etica della musica, con la quale si fa un passo avanti, poiché ci si accosta alla realtà musicale in sé e per sé: ma invece di studiarne l’essenza, se ne studiano gli effetti, quasi esclusivamente pratici di educazione morale e civile. Aristotele ha su per giù le stesse idee di Platone, ma con una visione etica-estetica un po' più larga; infatti aggiunge il famoso effetto della catarsi. Aristotele si cimentò anche con il problema dell’essenza della musica: per lui la musica non è espressione dei propri sentimenti bensì rappresenazione perfettamente oggettiva dei sentimenti altrui.


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