ACQUARIO ROMANO
In piazza Manfredo Fanti, al centro di un giardino si erge questa monumentale costruzione realizzata dall’arch. Ettore Bernich nel 1885 e che si collega alle altre architetture d'acqua dell'Esquilino.
L’esterno è decisamente ispirato agli edifici antichi e rinascimentali a pianta circolare. Il corpo cilindrico del fabbricato è scandito da semicolonne al piano terra e da paraste nella zona superiore; esso è preceduto, in chiara analogia con il Pantheon, da un corpo parallelepipedo marcato da un nicchione centrale e da due edicole laterali sormontate da timpani.
All’interno una grande sala aperta e luminosa è caratterizzata da un doppio ordine di colonne in ghisa, tra le prime ad essere usate in Roma, che sostengono la galleria superiore ed il soffitto. Queste strutture inquadrano al piano terra le vetrine destinate agli acquari, e nella galleria gli affacci sulla sala.
Le decorazioni pittoriche dell’edificio, tutte ispirate a temi marini con riferimenti mitologici, sono dovute a G. Toeschi e S. Silvestri. Il complesso decorativo dell’Acquario riveste una particolare importanza nelle vicende pittoriche del periodo.
L’edificio era originariamente destinato a scopi sia espositivi che di promozione della conoscenza e dello studio della fauna ittica e della piscicoltura. Questa funzione non è mai stata esercitata; già adibito a spettacoli teatrali, esposizioni, magazzino del Teatro dell’Opera, l’edificio è stato recentemente restaurato per scopi espositivi e culturali dal Comune di Roma.

Nel giardino antistante l’Acquario sono visibili i resti del tratto delle Mura Serviane che correva da piazza dei Cinquecento verso l’Arco di S. Vito. Questo tratto (il cosiddetto “agger”) era il più fortificato di tutta la cinta muraria perchè sorgeva in zona pianeggiante, ed era costituito da un fossato cui seguiva un muro alto circa 10 m appoggiato ad un terrapieno. Anche se nel nome è legata al re Servio Tullio, questa cinta m uraria viene datata al IV sec. a.C., immediatamente dopo l’invasione di Roma da parte dei Galli.


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