OTHELLO
(Otello, 1949-52)
Regia : Orson Welles;
sceneggiatura : Orson Welles, dalla tragedia di William Shakespeare;
fotografia : Anchise Brizzi, G.R. Aldo, George Fanto con la collaborazione di Oberdan Troiani e Alberto Fusi;
scenografia : Alexandre Trauner;
costumi : Maria de Matteis;
suono : Piscitrelli;
musica : Angelo Francesco Lavagnino, Alberto Barberis;
direzione musicale : Willy Ferrero;
montaggio : Jean Sacha con la collaborazione di John Shepridge, Renzo Lucidi, William Morton;
aiuto regia : Michael Washinsky.

Personaggi e interpreti : Orson Welles (Otello), Micheàl MacLiammòir (Iago), Suzanne Cloutier (Desdemona; il ruolo è stato interpretato per qualche scena anche da Lea Padovani, Cécile Aubry e Betsy Blair), Robert Coote (Roderigo), Michael Lawrence (Cassio), Hilton Edwards (Brabantio), Fay Compton (Emilia), Nicholas Bruce (Ludovico), Jean Davis (Montano), Doris Dowling (Bianca), Joseph Cotten (un senatore), Joan Fontaine (un paggio), Alan Webb (Mister Shallow), la voce di Orson Welles (il narratore).

Produzione : Francia- Italia, A Mercury Production by Orson Welles e (all'inizio) Scalera Films (Roma);
direttori di produzione : Julien Derode, Giorgio Papi;
riprese : studi Scalera (Roma) ed esterni in Marocco e Italia (dal 1949 al 1952);
prima : Festival Internazionale di Cannes (Palma d'oro);
durata : 95 minuti.


NOTE AL FILM

"Il lago esce dal portico della chiesa di Torcello, un'isola della laguna veneta, per entrare in una cisterna portoghese. Ha attraversato il mondo e cambiato continente nel bel mezzo di una frase. In Othello succede continuamente. Una scala toscana si prolunga in un terrapieno marocchino per costituire uno spazio unico. Roderigo colpisce Cassio a Mazagan e Cassio restituisce il colpo ad Orvieto, a mille miglia di distanza.
I pezzi del puzzle erano separati non da semplici spazi ma da rotture nel tempo, niente era continuo, non avevo una segretaria di edizione, non c'era modo di mettere insieme le immagini del puzzle salvo ché nella mia testa.
Ho passato del tempo, dei mesi interi, avevo il più piccolo dettaglio nella mia memoria, non sequenza per sequenza ma inquadratura per inquadratura e non avevo un montatore. Avevo tutta una serie di operatori, eravamo obbligati a interrompere le riprese perché dovevo cercare dei finanziamenti o lavorare per guadagnare".
(Orson Welles, da Filming Othello , 1978)

"Quando eravamo a Mogador c'era una grande scena che doveva essere fatta con grandi costumi preparati a Roma. Arriva un telegramma: la Scalera, che produceva il film, era fallita, i costumi e tutto il materiale bloccato e non si poteva fare più nulla.
Allora Orson improvvisò una delle scene più importanti del film, quella che si svolge nel bagno turco, comprando dozzine di lenzuola, avvolgendo tutti gli attori e le comparse; così la scena venne girata e diventò un classico del cinema. Quando Orson aveva una difficoltà la risolveva a tutti i costi. Per cui, quando dicono che non finiva mai un film, beh!
Era l'uomo più professionale che si potesse immaginare".
(Alessandro Tasca di Cutò)

"Si trattava di fare l'omicidio nel bagno turco. Io andavo avanti come musicista al servizio del cinema, insomma, musica applicata. Questa volta, però, non mi andava proprio: avevo fatto una musica complicata, piena di accenti, di allusioni, di movimenti. Lui viene per sentire la musica.
Gli dico: non te la faccio sentire, perché non è la musica che va bene per il film. Poi aggiungo: avrei un'idea, ma non ho neanche il coraggio di dirtela. Lui si alza e mi fa: anch'io avrei un'idea, ma non ho il coraggio di dirla. E io: allora sta a sentire, sai che facciamo, contiamo uno, due e tre e poi vediamo.
Così facemmo: uno, due, tre: MANDOLINI! Ci siamo abbracciati, piangendo".
(Angelo Francesco Lavagnino)

"Orson Welles è sempre stato un regista musicale, ma prima di Othello egli faceva della musica all'interno delle inquadrature, a partire da Othello egli farà della musica in moviola, cioè fra le inquadrature. Se Othello è talmente spezzettato è perché i passaggi da un'inquadratura a un'altra si effettuano sia su dei raccordi in movimento sia sulle cerniere del testo e sia su delle inflessioni di voce o di sguardo.
Il primo campo lungo del film giunge solo quando Iago, camminando al fianco di Otello, comincia a seminare il dubbio nel suo spirito; la camera li precede entrambi con un lunghissimo carrello. Nel ruolo di Iago, Micheàl Mac Liammòir è notevole e, nel modo generoso con cui Welles lo valorizza in rapporto alla camera e a se stesso, si sente bene tutta l'ammirazione, la riconoscenza e il rispetto che doveva portare al grande attore irlandese che l'aveva fatto debuttare nel 1931 al Gate Theater di Dublino e che aveva accettato di fingere di credere che questo giovane debuttante americano, che aveva sedici anni e pretendeva di averne venticinque, fosse un grande attore di New York!
Se Othello non è stato sufficientemente apprezzato al momento della sua uscita, è perché girando le spalle al tono solenne alla Eisenstein o al tono accademico e agghindato alla Laurence Olivier, rifiutando di entrare nel genere nobile della rappresentazione shakespeariana, Orson Welles ha cercato di fare un film vivant più che un capolavoro. E filmando Othello come un thriller, cioé ricongiungendolo a un genere popolare, Orson Welles, mi sembra, si sia avvicinato di più a Shakespeare.
Non ignoro che quest'ultima frase mi farà respingere all'aeroporto di Londra e, d'altra parte, Orson Welles stesso ha dichiarato all'epoca: La famosa tradizione shakespeariana che si invoca così spesso è più una leggenda che un dogma. Infatti, non esiste una vera tradizione: c'è troppo spesso solo una semplice accumulazione di cattive abitudini".
(François Truffaut, 1978)

"A Mogador il cielo era stupendo, blu intenso, adatto ai contrasti che Orson voleva. Lui voleva il bianco e il nero, non gli piacevano le vie di mezzo, il grigio non lo voleva. In tutto il film non si dovevano inquadrare gli alberi e tutto quello che lui chiamava 'le rotondità', doveva essere tutto spigoloso".
(Oberdan Troiani)

"Laddove Welles e la sua troupe presero il suono delle loro onde che s'infrangono, direttamente dal Mediterraneo, la troupe di Chicago (che ha realizzato il restauro, n.d.r.) si è servita del lago Michigan. L'accompagnamento di Lavagnino si serve ad un certo punto di 40 mandolini, l'approssimazione di Pendowski si accontenta di non utilizzarne mai più di 3 o 4....
Ma si deve sicuramente uscire e andare a vedere il nuovo Othello e stupirsi di tutto ciò che Welles ci ha messo dentro. Considerarlo invece come un modello per i restauri a venire, è invece una faccenda completamente diversa".
(Jonathan Rosenbaum, 1992)

"In ogni caso, dal punto di vista della trasposizione del teatro al cinema, Othello introduce una soluzione estetica di grande interesse, e d'altronde completamente opposta a quella di Macbeth. Una delle difficoltà principali, se non persino la difficoltà principale che deve superare la trasposizione del teatro sullo schermo è quella della scenografia.
La maggior parte dei fallimenti del teatro filmato è imputabile al disconoscimento di questo problema. Le convenzioni dell'azione, e soprattutto della parola teatrale, non si accordano con il realismo dello spazio cinematografico che si concretizza nella scenografia. In Macbeth Welles aveva preso la decisione di ricreare in ogni particolare un universo artificiale, un mondo chiuso sulla sua incompletezza, come una grotta.
In Otello, la finzione è a cielo aperto, e ricreata a partire da elementi completamente naturali. Grazie al montaggio affannoso e spezzato, alle angolazioni di ripresa (che tolgono all'occhio e alla mente ogni possibilità di collegare nello spazio gli elementi del décor), Welles inventa, con le pietre di Venezia e Mogador, un'architettura drammatica immaginaria, adornata di tutte le bellezze pensate e casuali che nell'architettura bera soltanto la pietra naturale, levigata da secoli di vento e di sole, può possedere.
Otello, dunque; si svolge a cielo aperto, tuttavia niente affatto nella natura. Quei muri, quelle volte, quei corridoi riecheggiano, riflettono, moltiplicano come degli specchi, l'eloquenza della parola tragica".
(André Bazin, 1958)


Torna alla filmografia

Eurovisioni